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giovedì 21 febbraio 2013

Google Glass, gli occhiali 2.0 che Google sta sperimentando, permettono di fare ricerche sul web e di acquisire foto e video.




Google apre i preordini dei suoi occhiali 
La Stampa 
I Google Glass permetteranno agli utenti di fare ricerche sul web e di acquisire foto e video con i comandi vocali ma anche di ricevere ed eseguire le istruzioni mostrate sullo schermo. Big G, che già aveva aperto i preordini alla conferenza degli ...

Google Glass, una giornata con gli occhiali 2.0
La Repubblica 
Gli occhiali duepuntozero di Google, i Google Glass, saranno uno dei primi prodotti di tecnologia indossabile ad arrivare sul mercato. Basati su Android, possono registrare, geotaggare, fotografare, visualizzare informazioni da web e social network, e ...



L'esperienza d'uso di Google Glass mostrata in un video in prima ...
iSpazio
google glass. È già da più di un anno che si parla di Google Glass, un prototipo di occhiali virtuali che ci consentirà di svolgere tutte le funzioni che oggi perfezioniamo con i nostri smartphone tradizionali. Se il concetto è semplice, appare meno ...


Google Glass, a che punto sono
Il Post
Mercoledì 20 febbraio Google ha pubblicato un nuovo video per mostrare alcuni dei progressi raggiunti con Google Glass, il suo progetto per realizzare un paio di occhiali che mostrano sulle loro lenti informazioni come indicazioni stradali, aggiornamenti dai social network e che possono essere utilizzati per realizzare fotografie e ... Secondo New York Times e Wall Street Journal la società è al lavoro per fare un orologio che dialoghi con gli iPhone e tenga traccia delle proprie attività ...



mercoledì 2 novembre 2011

Albumina umana dal riso: un team internazionale di scienziati è riuscito ad estrarre dalle piante di riso l'albumina, una delle principali proteine del sangue.


Lo studio è stato condotto su piante di riso transgenico, modificate con un gene umano,  inserendo nel Dna del riso un gene umano che attiva la produzione della proteina.
Il risultato, annunciato sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas), è stato ottenuto in Cina, dal gruppo d ricerca dell’università di Wuhan, coordinato da Yang He. Testata sui ratti, l'albumina derivata dal riso si è dimostrata efficace nel trattare la cirrosi epatica.

Attualmente questa proteina viene estratta esclusivamente dal sangue, ma la scarsa quantità disponibile, i costi elevati e il rischio di diffondere virus come Hcv e Hiv, hanno indotto le case farmaceutiche a cercare metodi di produzione più economici e altre fonti di albumina.
Sempre più richiesta in ambito clinico, l’albumina umana (Human Serum Albumin - Hsa) viene utilizzata soprattutto per la cura di ustioni, emorragie gravi e cirrosi epatica, e per la produzione di farmaci e vaccini.


L’albumina così ottenuta, è stata testata su un gruppo di cavie in cui era stata causata la cirrosi epatica, malattia del fegato trattata con la proteina umana, e durante tale sperimentazione, questi studiosi si sono accorti che non è stata rilevata alcuna differenza al termine del trattamento.

“I risultati ottenuti - affermano gli scienziati - indicano che le sementi di riso offrono un’alternativa conveniente per la produzione di rHSA [albumina ricombinante, ndr]”. Unico neo della ricerca, dunque, è il rischio di contaminazione delle altre colture, qualora si dovesse realmente coltivare questo riso GM su larga scala.

Fonte: http://www.galileonet.it/

domenica 25 settembre 2011

safefood è un microchip che riconosce se un alimento è contaminato;




Un microchip individua gli alimenti contaminati
TuttoPerLei.it
 E' un microchip che può essere portato in tasca o nella borsa e serve a riconoscere gli alimenti contaminati. A questo sistema, sta lavorando una ricerca partita dall'Università degli Studi di Pavia, che ha vinto uno dei finanziamenti da 30mila euro ...

Safefood: l'assaggiatore elettronico per testare la qualità dei ...
wellMe.it
Il maggiordomo, l'uomo di fiducia, il fedelissimo del nobile padrone di casa: queste erano, nel passato, le figure incaricate di testare la qualità dei cibi, prima che il gran signore li portasse alla bocca. Una scommessa sulla vita, ogni volta, ...

Vuoi controllare la qualità di un alimento? Usa il microchip
controcampus.it
"Mens sana in corpore sano", il vecchio e saggio motto latino, sembra al giorno d'oggi aver trovato applicazioni puramente estetiche, si va in palestra per curare il fisco, ma spesso, si trascura l'alimentazione mangiando cibi poco sani. spesso ...

Working Capital, vince il chip anti-contaminazione di Lucia Fornasari
NEWSFOOD.com
Un sensore portatile in grado di analizzare gli alimenti ed individuare eventuali contaminazioni. Questo è Safefood, vincitore di uno dei quattro premi (finanziamenti di 30.000 Euro l'uno) offerti da ".Working Capital-Premio nazionale Innovazione". ...

Chip che riconosce alimenti contaminati
ANSA.it‎
Un microchip da portarsi in tasca o nella borsa per riconoscere gli alimenti contaminati. A questo sta lavorando una ricerca nata presso l'Università degli Studi di Pavia, che ha vinto uno dei finanziamenti da 30mila euro di ...

lunedì 18 aprile 2011

MobiCeliac: un'app per la celiachia, funziona su moltissimi smartphone e su tablet

Il problema di chi soffre di celiachia si presenta soprattutto quando si è fuori, lontano da casa, e si ha difficoltà a reperire alimenti adatti. L’applicazione MobiCeliac è stata ideata e approvata dalla Federazione delle Associazioni Celiaci di Spagna proprio per far fronte a questo disagio e offrire ai celiaci la possibilità di reperire informazioni utili sul proprio telefono mobile. Funziona su moltissimi smartphone e su tablet.

I dati riguardano oltre 2500 prodotti controllati dalla Federazione e riunisce una serie di informazioni su ristoranti e hotel dove si può mangiare senza problemi un pasto adatto ai celiaci. Purtroppo per adesso l’applicazione comprende la sola area di Madrid ma speriamo che venga diffusa a sufficienza per rendere possibile una versione italiana.

Purtroppo è davvero difficile poter mangiare abitualmente nel proprio ristorante preferito senza portarsi da casa i propri prodotti chiedendo gentilmente che il cuoco li cucini per non rinunciare al momento conviviale con gli amici e l’attenzione nei confronti della celiachia si sta diffondendo solo negli ultimi anni e non ancora abbastanza capillarmente. Un’app del genere dedicata alle nostre città tornerebbe davvero molto utile.


Fonte: www.benessereblog.it/

venerdì 8 aprile 2011

Plastica ricavata dalla frutta

La plastica del futuro potrà essere ricavata dalle fibre naturali della frutta. Sarà più leggera e più resistente

Grazie alle microfibre di frutti come ananas, cocco e banane verrà costituita la plastica del futuro. Un tipo di plastica più leggera del 30% e, paradossalmente, di 3 – 4 volte più resistente. Ma il grande vantaggio è il fatto che sarà completamente rinnovabile.
 
Ideatori della plastica composta da fibre di frutta sono un team di ricercatori dell’Università di San Paolo, in Brasile. La loro invenzione è stata presentata al National Meeting & Exposition dell’American Chemical Society.
 
A discapito della plastica prodotta dal petrolio, quella ricavata dalle fibre naturali, spiegano i ricercatori, possiede una resistenza simile al kevlar, ovvero il materiale con il quale vengono prodotti i giubbotti antiproiettile.
 
Insomma, la plastica del futuro potrà diminuire drasticamente l’inquinamento provocato da quella attuale. C’è però da chiedersi quante foreste verranno devastate al fine di creare campi atti alla coltivazione di frutta.

Fonte: http://www.ticinonews.ch/

lunedì 14 marzo 2011

Energia elettrica a basso costo se si produce in casa da soli e senza pannelli solari

L'idea è quella di produrre energia elettrica in casa sfruttando l’acqua che passa nei tubi, presto potrebbe diventare una realtà alla portata di tutti.

Avere una fonte di energia elettrica, ecologica ed economica, a portata di mano, da cui ricaricare le batterie? Mettere da parte i pannelli solari per un sistema più rapido e meno ingombrante?

Una soluzione prova a fornirla Yanko Design con la sua idea di sfruttare l’acqua di casa. In base al suo progetto, è proprio il passaggio dell’acqua nei tubi delle abitazioni che può fornire l’energia utile per ricaricare le tradizionali pile AA.


Più nello specifico, Great Barrier (è questo il nome dato al prototipo) non è altro che una turbina idroelettrica collocata lungo il tubo che, al passaggio dell’acqua, è in grado di generare energia elettrica.

L’utilità può sembrare limitata, ma l’impatto dell’applicazione di questa idea può essere rilevante. Oltre al contenimento nei costi, ci sarebbe un utilizzo più efficace dei litri e litri d’acqua che ogni giorno vengono utilizzati.

Fonte: http://www.webmasterpoint.org/
Autore: Fabio Lepre

domenica 23 gennaio 2011

novità celiachia: la farina di frumento idrolizzata potrebbe essere atossica per i celeaci

Un recente studio, pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology, la rivista ufficiale dell’American Gastroenterological Association Institute evidenzia la possibilità per i pazienti celiaci di consumare farina di frumento idrolizzata.

I prodotti da forno a base di farina di grano idrolizzato non sono tossici per i pazienti celiaci, spiega Luigi Greco dell’Università di Napoli, autore principale dello studio: "Questa è la prima volta che un prodotto derivato da farina di grano ha dimostrato di non essere tossico dopo essere stato somministrato a pazienti celiaci per 60 giorni. I nostri risultati supportano la ricerca, inoltre, che esplora le terapie che potrebbero ridurre la tossicità del glutine per i celiaci al di là della dieta standard senza glutine."

Scopo di questo studio per i medici è valutare la sicurezza della somministrazione giornaliera di prodotti da forno realizzati da una forma idrolizzata di farina di frumento in pazienti affetti dal disturbo. I medici hanno usato farina di grano fermentata con lievito naturale, lattobacilli e proteasi fungine: questo processo diminuisce la concentrazione di glutine.

Lo studio ha preso in esame un totale di 16 pazienti celiaci, di età compresa tra i 12 e i 23 anni, tutti in buona salute perché seguivano una dieta priva di glutine da almeno cinque anni.
- Due dei sei pazienti che hanno mangiato prodotti da forno a base di farina naturale hanno interrotto lo studio a causa di sintomi come malessere, dolori addominali e diarrea.
-I due pazienti che hanno mangiato farina a base di prodotti da forno prodotti in gran parte con farina idrolizzata non hanno riportato malesseri, ma hanno sviluppo atrofia subtotale (completa assenza di villi, le estroflessioni necessarie per l’assorbimento).
-I cinque pazienti che hanno mangiato i prodotti da forno completamente idrolizzati non hanno invece riportato alcun effetto collaterale.


Fonte: http://www.medicinalive.com/

mercoledì 29 dicembre 2010

Inquinamento ambientale: dalla Francia un aiuto viene fornito dalle piante

La lotta contro l'inquinamento in Francia può trarre benefici dall'aiuto di alcune piante.
Si tratta di quello che viene ormai definita fitodecontaminazione, di cui abbiamo già parlato nel precedente post:  Arrivano le piante mangia-metalli. Come risanare, con la coltivazione di piante, i terreni inquinati da metalli pesanti a causa delle attività umane.


Tale tecnica consiste nell’utilizzare alcune piante e i diversi microrganismi presenti nelle loro radici per togliere dalle acque di scarico e dai terreni che si trovano presso le zone industriali le sostanze nocive responsabili dell’inquinamento ambientale e dei danni ambientali da esso provocati.
La soluzione è stata adottata con successo sia dai piccoli centri che da grandi città, insieme alle opportunità offerte dai consueti depuratori.


Tutto dipende dal tipo di impatto ambientale che riusciamo a mettere in atto. È vero che l’impatto ambientale può essere ridotto accumulando di meno, in vista di un consumo ecocompatibile. Ma non basta solo questo. A volte per portare beneficio contro gli effetti dell’inquinamento si può ricorrere a metodi alternativi, come appunto il fitorimedio. Quest’ultimo è riuscito a determinare una qualità migliore dell’acqua e una trasformazione del paesaggio all’insegna della natura. In certi casi l’acqua è addirittura diventata balneabile e sono stati messi a punto giardini, con i quali è stato possibile nascondere alla vista le fabbriche.



Naturalmente bisognerebbe tenere presente che il metodo ha anche dei limiti. Per essere applicato occorrono dei terreni spaziosi e i vantaggi riscontrabili richiedono la messa in atto di un percorso più lungo nel tempo rispetto a quello garantito dalla depurazione chimica. Tuttavia l’aiuto messo a disposizione dalle piante contro l’inquinamento delle acque e del suolo non è affatto da sottovalutare, se si vuole rientrare nella classifica dei Paesi più ecologici in fatto di sostenibilità ambientale.


Fonte: Ansa

martedì 21 dicembre 2010

Arrivano le piante mangia-metalli. Come risanare, con la coltivazione di piante, i terreni inquinati da metalli pesanti a causa delle attività umane.

Recenti studi hanno dimostrato l'efficacia della fitodecontaminazione, mediante cui, girasoli, mais e brassica possono essere impiegati come sistemi di disinquinamento.

"Elevate concentrazioni di metalli in forma diffusa e parcellizzata quali polveri, microparticelle presenti nell'aria, nel suolo e nelle acque", spiega Franco Gambale, direttore dell'Istituto di biofisica (Ibf) del Cnr di Genova, "possono avere gravi conseguenze sulla salute umana e tra i metalli pesanti il piombo è l'elemento più diffuso. Le tecniche utilizzate fino a oggi, con elementi chimici, hanno limiti oggettivi sia per i costi di bonifica delle aree interessate, sia per gli effetti successivi al trattamento: perdita della fertilità e altre gravi alterazioni di natura chimica, fisica e biologica, tali che le aree inquinate rimangono inutilizzate per decine di anni".

La fitodecontaminazione, al contrario, è un processo di purificazione naturale, in quanto, continua il direttore dell'Ibf-Cnr "sfrutta la capacità delle piante di assorbire elementi e composti dal suolo per poi concentrarli nelle parti mietibili (fusto e foglie). Le piante in questione, se opportunamente trattate con sostanze dette chelanti, che servono a rendere estraibili i metalli inquinanti, funzionano come pompe che operano a energia solare, in grado di assorbire dall'acqua e dal terreno non solo i sali minerali necessari per la propria sussistenza, ma anche elementi tossici minerali e/o organici".
 
Espletata la loro funzione, le piante vengono raccolte e incenerite a bassa temperatura, in modo da evitare la reimmissione degli agenti inquinanti nell'atmosfera e da restituire all'uomo, e alle sue attività, suoli prima perduti.

Ma i benefici non si limitano a questo. "La biomassa ottenuta", prosegue Gambale, "può essere utilizzata per generare gas da impiegare per la produzione di energia e i residui minerali possono essere riciclati o inglobati, per esempio, in matrici cementizie. Le ceneri possono infine essere smaltite in discariche attrezzate a costi di gran lunga inferiori rispetto a quelli necessari per lo smaltimento del suolo, in considerazione del minor volume del materiale contaminato".

Alcuni anni fa, nel comune di Arcola, in provincia di La Spezia, su un terreno contaminato da piombo adiacente a uno stabilimento industriale, è stata effettuata una prima sperimentazione di bonifica con la tecnica della fitodecontaminazione. L'esperimento faceva parte del progetto ‘PhyLeS', coordinato dal Cnr. I risultati ottenuti sono stati incoraggianti, mostrando l'efficacia del sistema, che può essere utilizzato anche in presenza di altri inquinamento da piombo, quanto di elementi come il cadmio.

"Con alcuni accorgimenti derivati dai risultati della sperimentazione - conclude Gambale - riteniamo sia possibile un miglioramento della metodica che potrebbe consentire di ridurre il tempo di decontaminazione a circa 20 anni. Un risultato apprezzabile se si considera che gli approcci chimico-fisici tradizionali sono certamente più veloci, ma costosi e per nulla ecosostenibili".

Scritto da: Emanuele Grimaldi
Fonte: cnr

venerdì 26 novembre 2010

Punteruolo rosso: In arrivo il "naso elettronico" che permetterebbe di individuare le infestazioni delle palme già nelle prime fasi di attacco.

 Il centro studi e ricerche di Sanremo ha presentato il Progetto Palmis - Palme in sicurezza.
Tale progetto prosegue la precedente Iniziativa dell'Università di Palermo: "adotta una trappola" per contrastare e combattere le infestazioni.

Si tratta di un rilevatore di odori che permetterebbe di individuare le infestazioni alle palme nelle prime fasi di attacco del punteruolo rosso.
Lo studio delle palme, nell’ambito della VI Biennale europea, ha aperto nuovi orizzonti alla ricerca grazie agli interventi di carattere tecnico e biomeccanico presentati: il Progetto PALM.I.S. – Palme in Sicurezza - e i risultati di ricerche effettuate sul metodo del VPA strumentale, la tomografia sonica, la tomografia di conducibilità elettrica e il naso elettronico.
Si tratta dell’individuazione del rischio di schianto nelle palme, attraverso un’indagine visiva approfondita – il VPA Visual Palm Assessment – basata sui dati rilasciati da strumentazione sofisticata.

Dal momento che le palme, a differenza delle degli alberi, non ci trasmettono con facilità il loro stato di salute attraverso segnali esteriori, la tomografia sonica (che indaga la densità del legno) e quella di conducibilità elettrica (che ne misura la qualità) mirano ad indagare nell’intimità dei monocotiledoni, segnalandoci possibili fratture e cavità che ne compromettono la stabilità. Il tutto per una maggiore sicurezza pubblica, oltre che un intervento di cura rapido.

E’ però il naso elettronico la grande novità dei Dies palmarum 2010. Si tratta di un ‘rilevatore’ di odori che riesce a scoprire ‘fiutando’ la presenza del Punteruolo rosso nascosto all’interno della palma. Il ‘naso elettronico’ permetterebbe di individuare le infestazioni già nelle prime fasi di attacco quando ancora non sono comparsi segnali esteriori sulle foglie o il capitello.

Simile a un contatore, il naso elettronico è stato recentemente testato a Sanremo presso la serra sperimentale del Centro studi e ricerche per le palme ad opera della Coop. Demetra guidata da Gabriele Villa e Letizia Pozzi. L’apparecchio memorizza l’odore della palma infestata dal rincoforo ed è in grado di segnalare il riconoscimento della sua presenza nelle altre.

Ha commentato Claudio Littardi, ricercatore  del Centro studi e ricerche delle palme di Sanremo,
"La ricerca a Sanremo continua, grazie ai rosei orizzonti aperti dalla tomografia sonica e elettrica, che accoppiate ci daranno un quadro della stabilità della palma più dettagliato, mentre il naso che fiuta la presenza del parassita ci permetterà di intervenire in modo tempestivo”.

Per informazioni: Centro studi e Ricerche per le palme di Sanremo, tel. 349-8362307.

Fonte: http://agronotizie.imagelinenetwork.com/

lunedì 22 novembre 2010

Piante e animali: in natura adottano gli stessi meccanismi di difesa


Animali e piante condividono molecole di riconoscimento per batteri e virus e meccanismi di difesa simili.

Molto più di quanto finora non si sospettasse. Lo sostengono Pamela Ronald dell'Università della California di Davis e Bruce Beutler dello Scripps Research Institute su Science, in un articolo che passa in rassegna i più recenti studi sul sistema immunitario innato. Questi lavorano infatti quasi esattamente nello stesso modo in entrambi i regni, sebbene l’antenato comune dovrebbe risalire a circa un miliardo di anni fa.

Diversamente dalla risposta adattiva (ovvero quella estremamente specifica che l’essere umano e gli altri animali sviluppano a seguito dell’incontro di un patogeno), la risposta innata riconosce specifiche molecole che sono condivise da diversi microbi e sono essenziali per la loro sopravvivenza. Eppure, data l’enorme differenza tra piante e animali, fino a qualche anno fa si era supposto che i meccanismi di difesa fossero completamente diversi. Invece, come sta emergendo da alcuni anni, un’evoluzione convergente ha fatto sì che mondo vegetale e animale rispondessero allo stesso modo di fronte ai segnali lasciati dai batteri.

In particolare - argomentano i ricercatori – ci sono due motivi ricorrenti nei sistemi di difesa: i recettori addetti al riconoscimento e le molecole che trasmettono il segnale di pericolo. Piante, insetti e mammiferi, pur avendo proteine altamente specifiche dedicate ad avvertire la presenza di molecole batteriche, condividono regioni proteiche comuni. La chiave della somiglianza starebbe nella presenza ripetuta dell’aminoacido leucina, importante nella fase del riconoscimento del nemico. Poi, dopo aver riconosciuto il segnale di pericolo, tutte le cellule, non importa a quale specie appartengano, trasmettono l’allarme usando un altro motivo proteico comune (chimato motivo chinasico non-RD, ovvero privo degli aminoacidi arginina e aspartato).

Come sottolineano gli autori, i vantaggi di questa “immunologia evolutiva”, per quanto ancora agli albori, potrebbero rivelarsi molto importanti, sia per la ricerca applicata sulle piante, sia per nuove terapie per gli esseri umani. “E’ come se, per ora, conoscessimo solo alcune foglie del grande albero della vita”, spiegano i due studiosi. “Quando avremo sequenziato i genomi di quasi tutte le specie di piante e animali, potremo risalire a tutti i meccanismi di difesa ed elaborarne di nuovi a partire da altre specie”.

Fonte: http://www.galileonet.it/articles/4cea30b272b7ab2c1a000005

venerdì 20 agosto 2010

Coltivare carciofi su Marte: alcuni scienziati sperimentano crescita vegetali in ambiente "marziano"

Un orticello su Marte potrebbe essere utile per fornire ai futuri esploratori del Pianeta Rosso non soltanto broccoli e carciofi freschi, ma anche riserve d'ossigeno rinnovabili senza bisogno di portarlo dalla Terra.
E' quanto sperano alcuni ricercatori dell'università di Sydney guidati da Federico Maggi che hanno messo a punto una simulazione per verificare la possibilità di coltivare piante terrestri sul suolo marziano.

Maggi e colleghi sono esperti di "biogeochimica", una scienza che mette insieme biologia, geologia e chimica per studiare come si comportano gli organismi viventi in ambienti eterogenei.
Essi hanno esaminato il processo di crescita di radici vegetali in un compost formato da suolo simile a quello marziano (ne conosciamo la composizione grazie alle sonde), più fertilizzanti e batteri portati dalla Terra. Il tutto inoltre simulando, attraverso un modello chiamato "Biotoughreact", gli ettetti di una gravità come quella di Marte, che è un terzo rispetto a quella terrestre.

I risultati sono stati incoraggianti. A quanto sembra, la gravità ridotta di Marte favorisce l'assorbimento dell'acqua da parte dei vegetali, per cui sono necessarie innaffiature di portata inferiore (l'acqua su Marte c'è, ma si trova principalmente sotto forma di cristalli di ghiaccio mescolati al terriccio, a formare quello che tecnicamente si chiama "permafrost"). Già altre volte erano stati effettuati esperimenti di crescita di vegetali in humus non terrestri (per esempio, con terriccio lunare autentico), e si è visto che i semi non avevano difficoltà a germogliare, purché provvisti dei necessari nutrienti e della flora batterica. La simulazione degli scienziati australiani, più avanzata, conferma esperienze precedenti.

Ma che vantaggio può esserci a coltivare campicelli marziani? Oltre che a ovviamente fornire i futuri colonizzatori di verdure fresche (sempre che risultino commestibili), c'è il fatto che le piante, assorbendo anidride carbonica e cedendo ossigeno, potrebbero rinnovare l'aria respirabile rendendo le future colonie sul Pianeta Rosso autonome da questo punto di vista.

Certo, le piante dovrebbero essere coltivate in serre alquanto speciali, a tenuta stagna, riscaldate e illuminate: su Marte l'atmosfera è estremamente sottile, la temperatura si aggira sui settanta gradi sotto zero e la luce del Sole è più fioca che sulla Terra. Ma magari i vantaggi potrebbero compensare le difficoltà. Forse le future colonie marziane potranno essere circondate, se non da campi di messi ubertose, da corone di coltivazioni a tenuta ermetica.

Fonte: http://notizie.virgilio.it/

giovedì 22 luglio 2010

Serre fotovoltaiche: partono in Sardegna i primi progetti per coltivare senza impatto ambientale.

Prima in Italia, la Sardegna nell'arco di tre anni istallerà 500 MW fotovoltaici derivanti dalla realizzazione di dieci impianti in serra. Si potrà quindi produrre contemporaneamente energia da fonte rinnovabile e prodotti ortofrutticoli o florovivaistici sotto un tetto di moduli solari.

Settecento ettari di serre dove potranno lavorare migliaia di persone. "Si tratta di una rivoluzione per il futuro dell’agricoltura sarda, ma anche per l’ambiente e l’occupazione. Ora tocca al turismo: l’agricoltura multifunzionale dovrà andare sempre più a braccetto anche con il settore dell’ospitalità", ha dichiarato Andrea Prato, l’assessore regionale all’Agricoltura.
 
Impatto ambientale ed emissioni pari a zero saranno possibili anche grazie allo sfruttamento del “decreto salva-Alcoa” che consentirà di mantenere stabile il prezzo al consumo dell’energia permettendo di usufruire del medesimo incentivo sul Conto Energia.

Il progetto fotovoltaico in serra, una volta realizzato, andrà a fornire 750 milioni di kilowattora pari al fabbisogno di 200mila famiglie, la metà degli abitanti della Sardegna, e raggiungendo quelli che attualmente sono gli standard attribuiti alle regioni del nord Italia che sfruttano l’idroelettrico ma con un impatto ambientale neanche lentamente comparabile.

Grazie al fotovoltaico sardo sarà evitato il consumo di 181 tonnellate di petrolio (TEP) e la produzione di emissioni di CO2 pari a 543 tonnellate.

Fonte: http://www.repubblica.it/

lunedì 7 giugno 2010

SOS salviamo i coralli, sperimentata una nuova tecnica, una sorta di giardinaggio marino, basta trapiantare rametti di corallo rotti sulle barriere coralline e presto si riprodurranno.

Le barriere coralline del mondo sono a richio estinzione, cominceranno a disintegrarsi entro la fine del secolo, come conseguenza dell'aumento di anidride carbonica che rende gli oceani più acidi. L'allarme è stato lanciato dagli scienziati che hanno identificato il 'punto di non ritorno' dell'ecosistema dei coralli, ovvero il momento in cui la capacità delle barriere di rigenerarsi verrà sorpassata dalla velocità con cui si disgregano.

Tra i numerosi rimedi che sono stati ipotizzati o messi in campo per la salvaguardia delle barriere è stata prospettata una soluzione semplice ed economica per tenerle in vita rigogliose. Si tratta di una sorta di giardinaggio marino: basta trapiantare rametti di corallo rotti sulle barriere coralline e questi nel giro di qualche anno formeranno nuovi grandi coralli adulti, del tutto reintegrati nella barriera.

Questa tecnica è stata testata con successo al largo delle Isole Vergini britanniche le cui barriere coralline sono messe a dura prova dalle tempeste. Non serve essere un giardiniere esperto per sapere che piantando un rametto rotto ne può nascere una nuova pianta grande e rigogliosa: il rametto (o talea) interrato emette radici e genera un nuovo individuo.
Gli esperti hanno provato a fare lo stesso con pezzi di corallo: hanno 'piantato' rametti di corallo danneggiati, scoprendo nel giro di pochi mesi molte di queste microcolonie 'attecchiscono' a perfezione e in alcuni anni riescono a formare nuovi grandi banchi corallini.

Le barriere coralline attualmente sono condannate a scomparire quasi totalmente, considerando che la loro salute è legata alla crescita delle temperature e all'acidificazione degli oceani, oltre che allo sviluppo delle coste, all'eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche e all'inquinamento.
Dal 1950 è già scomparso il 20% delle barriere coralline, un altro 20% è a rischio di collasso, mentre il 58% è minacciato dalle attività umane (di cui l'80% nel Sudest asiatico).

Fonte: ANSA

venerdì 21 maggio 2010

Cinque studenti italiani inventano una'applicazione per curare l’orto da iPhone.

Un gruppo di giovani studenti italiani dell’Isis Facchinetti di Busto Arsizio (Varese) hanno voluto inventarsi un nuovo progetto tecnologico, per partecipare ad un concorso locale dedicato all’innovazione.

I cinque giovanissimi hanno provato a risolvere un piccolo problema quotidiano: innaffiare i fiori o curare un orto mentre si è in vacanza o in ufficio. Hanno pensato quindi ad una piccola serra controllabile in remoto da un iPhone, attraverso un’applicazione ad hoc. In soli due mesi, rimanendo a scuola qualche ora in più e rinunciando al tempo libero, è nato il primo prototipo funzionante della loro “Serra Domotica”. Il progetto è valso loro un premio assegnato dall’Unione Industriali di Varese e dall’Università Carlo Cattaneo, oltre alla già citata iscrizione all’albo delle eccellenze.

«Per ora questo è un approfondimento nostro», racconta Enthonj, uno dei cinque ragazzi,  “Ci siamo documentati e abbiamo iniziato a smanettare con l’SDK di iPhone, al momento l’applicazione è ancora rudimentale ma siamo certi di poterla migliorare… il software funziona già perfettamente per quando riguarda la comunicazione dello stato in cui si trova la serra, ora stiamo lavorando più sull’invio dei comandi per la gestione».

Oltre all’applicazione, i ragazzi hanno realizzato la serra vera e propria: una sorta di acquario per le piante da giardino, che darebbe la possibilità a tutti di gestire un piccolo orticello direttamente dall’ufficio.

Nel futuro di questi giovanissimi, ovviamente, c’è l’università: Enthonj pensa di iscriversi al Politecnico e nel suo futuro vede lo sviluppo di applicazioni web. Loro dovranno aspettare di crescere professionalmente, ma per noi la loro intraprendenza è già una bella sorpresa.

Leggi tutto l'articolo in: http://www.melablog.it/post/11774/cinque-studenti-italiani-inventano-lorto-che-si-cura-da-iphone

venerdì 7 maggio 2010

Dal girasole, lubrificanti ad uso agricolo. In Umbria Novamont Spa, Coldiretti e il Parco Tecnologico 3A avviano la prima filiera agroindustriale

Promuovere lo sviluppo in Umbria di una filiera innovativa ed integrata a basso impatto per la coltivazione del girasole ad alto contenuto di oleico per la produzione di lubrificanti ad uso agricolo: è questo l’obiettivo del progetto che è stato accolto dalla Regione Umbria nell’ambito del Psr Umbria 2007-2013, Asse 1, Misura 124. Un bando estremamente innovativo che posiziona l’Umbria ai vertici della ricerca europea nel campo delle filiere agroindustriali per lo sviluppo di nuovi materiali e prodotti contenenti fonti rinnovabili.

L’aspetto più innovativo del progetto, che ha come capofila 3A Parco Tecnologico agroalimentare dell’Umbria ed è costituito da Novamont Spa, la Cooperativa Oro Verde afferente a Coldiretti e Sincro srl, è la stretta collaborazione tra mondo industriale ed agricolo per lo sviluppo del territorio a beneficio di tutte le parti coinvolte. L’integrazione quindi tra chimica sostenibile ed agricoltura moderna quale modello di sviluppo basato sul progresso territoriale e non sulla ricerca dei prezzi globali più vantaggiosi.

La scelta di utilizzare il girasole è da ricondursi al fatto che può essere coltivato sia in terreni pesanti che sabbiosi, il cui limite è rappresentato dalla disponibilità idrica. In Umbria gli ettari coltivati a girasole sono circa 40 mila con rese medie ad ettaro 24,5 q/ha ed una produzione totale 100 mila quintali. Questi dati rendono il girasole la coltura oleaginosa più importante per la regione, mentre le nuove varietà di girasole ad alto contenuto di oleico consentano maggiori rese e la convivenza di varietà tradizionali senza perdite di resa.

La produzione avverrà secondo standard a basso impatto ambientale e saranno condotte prove a basso impatto al fine di razionalizzare gli input (fertilizzazioni, rotazioni, uso di prodotti fitosanitari). L’obiettivo è supportare, attraverso analisi Lca del prodotto, l’agricoltore ad una gestione integrata della produzione, valorizzando sia la produzione agricola che il prodotto finale (lubrificanti), riducendone gli input.

Attualmente circa il 50% dei lubrificanti venduti e usati nel mondo sono dispersi nell'ambiente. Costituiti da un composto base di origine fossile (derivato dal petrolio) e da un pacchetto di additivi, sono una possibile minaccia per l’ambiente per l’alta percentuale di oli minerali (più del 95%), di tossicità e bassa biodegradabilità. I lubrificanti ed i liquidi idraulici a base di oli vegetali sono invece biodegradabili e presentano una bassa tossicità. Per lo sviluppo di lubrificanti a base vegetale in Umbria è prevista la realizzazione di un impianto prototipo ad hoc di distillazione.

Fonte: Novamont Spa

Link correlati:
- Coltivare il girasole
- Semi di girasole in mix
- I migliori libri sul giardinaggio

mercoledì 4 novembre 2009

Energia dall'asfalto: una società israeliana ha creato un dispositivo piezoelettrico in grado di generare energia elettrica dal movimento delle auto

La societa' israeliana Innowatech sta sperimentando una Tecnologia Piezoelettrica dalle Grandi Potenzialità, generare energia elettrica dal movimento delle autovetture. I primi test sono stati condotti con l’installazione di nanogeneratori piezoelettrici su una striscia di dieci metri di asfalto, i generatori in questo modo potrebbero generare circa 2000Wh di energia elettrica.

In particolare la tecnologia prevede l’installazione di generatori sotto cinque centimetri di asfalto e un tratto di 1 km di strada ad una sola corsia sarebbe in grado di generare circa 200KWh, mentre una a quattro corsie produrrebbe circa 1MWh di energia elettrica, che è sufficiente per alimentare 2.500 famiglie. Un interessante progetto che potrebbe essere facilmente ampliato e fornire considerevoli quantità di energia semplicemente recuperandola.

Una tecnologia, quella piezoelettrica, che ormai non può più essere criticata in materia di efficienza energetica. “La tecnologia che abbiamo adottato è basata su materiali piezoelettrici che permettono la conversione di energia meccanica esercitata dal peso del passaggio di veicoli in energia elettrica. Per quanto riguarda la strada in questione su cui sono installati i generatori, i guidatori non se ne renderanno nemmeno conto”, spiega Edery-Azulay capo del progetto della Innowatech.
La società ha già individuato che Israele ha circa 250 chilometri di strade adatte questa tecnologia piezoelettrica, analisi che individua particolari volumi di traffico e massa dei veicoli. “La tecnologia consente inoltre la fornitura di energia elettrica ai vari “consumatori” che si trovano lungo le strade, come ad esempio semafori, cartelloni pubblicitari illuminati, autovelox della polizia, sistemi di comunicazione o di segnaletica stradale”, continua la Edery-Azulay. Inoltre le condizioni meteo non hanno alcun effetto sulla produzione di energia elettrica di questa tecnologia e non richiede la stesura di alcun speciale asfalto.

venerdì 7 agosto 2009

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mercoledì 20 maggio 2009

Puzza di truffa!! La nuova legge europea sul biologico consente una contaminazione fino allo 0,9% di OGM!

La nuova legge europea sul biologico, entrata in vigore all’inizio del 2009, prevede che un alimento possa ancora chiamarsi biologico ed essere considerato e venduto come tale, pur in presenza di una contaminazione fino allo 0,9% di OGM (organismi geneticamente modificati).
Gli agricoltori biologici non sono affatto d’accordo su questo aspetto, che viene loro imposto. Una delle prerogative principali e una delle regole essenziali del biologico è che sia esente da OGM, in ogni fase di creazione di un alimento, dalla semina al prodotto finito. Tale prerogativa il mondo del biologico vuole conservare intatta, tramite le sue associazioni, e perciò, indipendentemente da cosa dice la legge, considera non biologico un alimento contaminato OGM.

Un alimento biologico inquinato con OGM è un puro non senso che può nascere solo in menti a loro volta “manipolate”, come lo sono gli organismi che vogliono promuovere.

E contrari agli OGM non sono solo i coltivatori e consumatori di alimenti biologici, ma anche la gran maggioranza di tutti i consumatori, anche quelli di alimenti convenzionali, così come quasi tutto il variegato mondo agricolo italiano, il quale vuole proteggere la qualità e il valore degli alimenti made in Italy, che sono di assoluta eccellenza mondiale, contraddistinti anche da svariati marchi di qualità.

UN MECCANISMO DIABOLICO
I ricercatori delle multinazionali degli OGM “sparano” dentro alle cellule di una pianta alcune sequenze di DNA prese da un altro tipo di organismo (per esempio da un batterio). La pianta sarà così modificata geneticamente perché costretta ad ospitare sequenze di DNA ad essa estranee.

Una volta che queste sequenze sono entrate la pianta rimane modificata per sempre.
Questa modifica viene brevettata. Supponiamo che, per esempio, alcune varietà di mais molto valide e produttive vengano modificate geneticamente e brevettate (e lo stesso gioco si può fare con qualsiasi tipo di pianta). Con il diffondersi della pianta modificata e con la contaminazione della impollinazione, attraverso vento o insetti, nel giro di alcuni decenni le piante non modificate non esisterebbero più e piante prima naturali, a disposizione di tutti, diverrebbero di esclusiva proprietà di poche multinazionali.

Abbiamo già sperimentato il caso del grano duro Creso, che è stato prodotto in Italia per lungo tempo e viene ancora prodotto. Era stato ottenuto per mutazione da raggi gamma prodotti da scorie nucleari.

Ora, dopo 4 decenni di produzione e commercio, si ha il forte sospetto che rappresenti una delle cause principali del grande aumento dei casi di celiachia. L’organismo umano tende ad essere intollerante nel lungo termine a ciò che viene manipolato artificiosamente! Per fortuna!
Che garanzie abbiamo che gli OGM non scatenino, nel lungo termine, allergie, tossicità, forme incontrollabili di tumori e quant’altro?

Leggi tutto l'articolo in: ilponente.com



sabato 11 aprile 2009

Ecologia quotidiana; vivere con piacere in una casa ecologica

Consigli pratici su come ottenere e vivere con piacere in una casa ecologica.

Negli ultimi tempi cresce l'attenzione nei confronti dell'ambiente in cui viviamo e in particolare dove abititiamo: le case, gli uffici, gli interni in genere.
E' in questi ambienti che noi occidentali passiamo oltre l'ottanta per cento del nostro tempo, e questo ovviamente comporta qualche problema a cui si cerca di porre rimedio con l'architettura bioecologica.

Fino a metà Ottocento, fino alla rivoluzione industriale in sostanza, la nostra vita si svolgeva meno all'interno e più all'esterno, per lo meno nei nostri climi temperati. Poi è successo qualcosa che ha scombussolato questo equilibrio: le industrie, le automobili, le necessità di fare in fretta.

Oggi, dire "ecologia" è diventato un argomento, una scusa per aumentare i prezzi, uno spauracchio che ci fa sentire in colpa se gettiamo per terra un pezzo di carta, da collegare al "buco nell'ozono", per altri viene usata inconsciamente per aumentare il proprio senso di potenza perché dà la grande possibilità di "salvare il mondo" con poche piccole azioni quotidiane.

Si e' cosi' giunti all'interesse per i propri ambienti, le case in particolare. la gente quindi prende sempre' piu' coscienza e ha cominciato ad andare dagli architetti chiedendo loro una casa più "sana", materiali non dannosi all'organismo, impianti che tenessero conto delle influenze elettromagnetiche e tutta una serie di richieste alle quali la maggior parte dei tecnici non sapeva proprio cosa rispondere.

L'architetto italiano dal canto suo si è rivolto alle sperienze maturate all'estero, in particolare in Germania, scoprendo un diverso modo di intendere le case, una riscoperta dei materiali naturali, una serie di studi che individuavano negli interni contemporanei degli elementi negativi per la salute fisica e psicologica di chi li abita.

Sorge così anche in Italia una corrente di pensiero e di azione che si richama a quella che chiamamo qui architettura bioecologica.

Essenzialmente possiamo agire in due modi diversi con l'ambiente che ci circonda:

a. Agire dall'esterno.
Cambiare lo spazio, cercare i materiali giusti, non nocivi, naturali; stare attenti a tutte le regole, cercare di controllare l'ambiente con il maggior numero di mezzi possibili, con l'obbiettivo di renderlo 'sano'

b. Agire dall'interno.
Modificare il nostro comportamento con quello che ci circonda, inseriamo abitudini che possano farci stabilire col mondo esterno dei rapporti di equilibrio positivo e di piacere. L'ipotesi su cui lavora questa soluzione è che spesso sia più efficace agire sul proprio comportamento piuttosto che rifare le case.

Nella valutazione un ambiente, i parametri indicati dalla maggioranza degli operatori sono:
1 - qualità dell'aria
2 - qualità della luce e dei colori
3 - condizione elettromagnetica e geobiologica
4 - temperatura e umidità
5 - qualità dei materiali da costruzione, delle finiture e degli isolanti
6 - qualità dei materiali dell'arredamento
7 - qualità acustica, suoni e rumori
8 - qualità olfattiva, odori e profumi


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