Animali e piante condividono molecole di riconoscimento per
batteri e virus e meccanismi di difesa simili.
Molto più di quanto finora non si sospettasse. Lo sostengono
Pamela Ronald dell'Università della
California di Davis e Bruce Beutler dello
Scripps Research Institute su Science, in un articolo che passa in rassegna i più recenti studi sul
sistema immunitario innato. Questi lavorano infatti quasi esattamente nello stesso modo in entrambi i regni, sebbene l’antenato comune dovrebbe risalire a circa un miliardo di anni fa.
Diversamente dalla
risposta adattiva (ovvero quella estremamente specifica che l’essere umano e gli altri animali sviluppano a seguito dell’incontro di un patogeno), la
risposta innata riconosce specifiche
molecole che sono condivise da diversi microbi e sono essenziali per la loro sopravvivenza. Eppure, data l’enorme differenza tra piante e animali, fino a qualche anno fa si era supposto che i meccanismi di difesa fossero completamente diversi. Invece, come sta emergendo da alcuni anni,
un’evoluzione convergente ha fatto sì che mondo vegetale e animale rispondessero allo stesso modo di fronte ai
segnali lasciati dai batteri.
In particolare - argomentano i ricercatori – ci sono due motivi ricorrenti nei sistemi di difesa: i
recettori addetti al riconoscimento e le
molecole che trasmettono il segnale di pericolo.
Piante, insetti e mammiferi, pur avendo proteine altamente specifiche dedicate ad avvertire la presenza di
molecole batteriche, condividono regioni proteiche comuni. La chiave della somiglianza starebbe nella presenza ripetuta
dell’aminoacido leucina, importante nella fase del riconoscimento del nemico. Poi, dopo aver riconosciuto il segnale di pericolo, tutte le cellule, non importa a quale specie appartengano, trasmettono l’allarme usando un altro motivo proteico comune (chimato
motivo chinasico non-RD, ovvero privo degli aminoacidi arginina e aspartato).
Come sottolineano gli autori, i vantaggi di questa “
immunologia evolutiva”, per quanto ancora agli albori, potrebbero rivelarsi molto importanti, sia per
la ricerca applicata sulle piante, sia per
nuove terapie per gli esseri umani. “
E’ come se, per ora, conoscessimo solo alcune foglie del grande albero della vita”, spiegano i due studiosi. “Quando avremo sequenziato i genomi di quasi tutte le specie di piante e animali, potremo risalire a tutti i meccanismi di difesa ed elaborarne di nuovi a partire da altre specie”.
Fonte:
http://www.galileonet.it/articles/4cea30b272b7ab2c1a000005