domenica 25 novembre 2012

Celiachia: sembra che le origini della malattia siano molto più antiche di quanto si pensasse.






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Alcuni ricercatori dell’Università Cattolica di Roma hanno estratto i geni della celiachia dallo scheletro di una ragazza risalente al I secolo A.C., ritrovato nel sito archeologico di Cosa, nei pressi di Ansedonia in Toscana.
L’estrazione e l’esame del Dna del reperto effettuato dai genetisti del Centro di Antropologia Molecolare per gli studi sul Dna antico dell’Università di Tor Vergata, sembrano confermare che quella ragazza possedeva i geni che predispongono alla malattia da intolleranza al glutine e di conseguenza la celiachia abbia avuto una origine molto più lontana di quanto si pensasse e che abbia fatto parte della storia dell’uomo fin dall’introduzione del grano nella nostra alimentazione.

La giovane è certamente morta in condizioni di deperimento fisico, come testimoniato dalla bassa statura, dall’osteoporosi, dall’ipoplasia (sviluppo incompleto) dello smalto dentale e da una caratteristica porosità dell’osso, segno di anemia. «Poiché la ragazza di Cosa apparteneva di certo a una famiglia agiata (come si desume dai gioielli che la ragazza indossava al momento del ritrovamento e dalle caratteristiche della sua tomba) , non è pensabile che tutti questi segni di malnutrizione che il reperto siano dovuti a condizioni di scarsa disponibilità di cibo», spiega direttore della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia del Policlinico A. Gemelli di Roma Antonio Gasbarrini. «Questi elementi hanno fatto supporre che la “ragazza di Cosa” potesse essere affetta da celiachia. Di qui è partita l’idea di isolarne e analizzarne il Dna per vedere se la giovane avesse i geni predisponenti alla malattia».

La prova genetica offerta da questo studio, insieme a tutti gli altri segni fisici riscontrati sul reperto, avvalorano l’ipotesi che la “ragazza di Cosa” sia il primo caso documentato di celiachia della storia.

Fonte: healthdesk.it/ricerca



venerdì 23 novembre 2012

Impollinazione: anche i fiori adottano le loro strategie






In genere si pensa che i fiori utilizzano strategie come colore, odore o posizionamento per agevolare la fase di impolinazione, invece uno studio recente dimostra l'esatto contrario poichè il fiore tenta di rendersi impenetrabile.

Le strategie dei fiori per attirare gli impollinatori sono meno semplici e intuitive di quanto si pensi. A constatarlo è uno studio dell'Università della California coordinato da Nir Sapir e Robert Dudley e pubblicato sulla rivista della British Ecological Society, Functional Ecology.

La ricerca ha analizzato il colore, la posizione e le caratteristiche dei fiori generalmente impollinati dai colibrì che sono rossi, a forma tubulare e privi di qualsiasi odore. L'ipotesi era che le caratteristiche dei fiori fossero finalizzate a facilitare il compito agli uccelli. Ma i risultati hanno svelato che si tratta dell'esatto contrario.

Il team di ricercatori ha lavorato con i colibrì di Anna (Calypte anna) registrando le loro reazioni ad una serie di fiori artificiali creati con differenze di posizione, inclinazione, colore e altre caratteristiche. I ricercatori hanno registrato le reazioni degli uccelli attraverso video ad alta definizione. Le immagini hanno rivelato che i colibrì sono attratti principalmente da fiori posti in una posizione verticale complessa da sfruttare senza un notevole dispendio energetico.

La scoperta ha dimostrato che i fiori in natura hanno sviluppato una posizione più ostile e dispendiosa per gli impollinatori per assicurarsi di essere impollinati da animali più "competenti" degli insetti.

Fonte: http://qn.quotidiano.net/lifestyle/



mercoledì 21 novembre 2012

Scoperte alcune piante che ottengono energia sfuttando altre piante!






Un gruppo di ricercatori tedeschi ha ottenuto significativi risultati che potrebbero rivoluzionare in maniera importante il futuro della bioenergia.

I fiori hanno bisogno di acqua e luce per crescere. Anche i bambini imparano che le piante utilizzano la luce solare per raccogliere l’energia dalla terra e dall’acqua. Ora i ricercatori di un gruppo guidato dal professor Olaf Kruse dell’Università di Bielefeld hanno fatto una scoperta rivoluzionaria, dimostrando che c’è una pianta che utilizza un’alternativa per accumulare energia.

Questi scienziati hanno confermato per la prima volta che l’alga verde Chlamydomonas reinhardtii, non solo si impegna nella fotosintesi, ma  ha anche una fonte di energia alternativa, che viene dalle altre piante. Questa scoperta potrebbe anche avere un impatto importante sul futuro della bioenergia.

Foto: Bielefeld University

La ricerca è stata pubblicata sull’edizione online del numero del 20 novembre della rivista Nature Communications. Finora, si credeva che solo vermi, batteri e funghi potessero digerire la cellulosa vegetale utilizzandola come fonte di carbonio per crescere e sopravvivere. Le piante, invece,  si impegnano nella fotosintesi di biossido di carbonio, acqua e luce. In una serie di esperimenti, il professor Olaf Kruse e il suo team hanno coltivato le alghe verdi microscopiche, Chlamydomonas reinhardtii, in un ambiente povero di anidride carbonica e hanno osservato che queste piccole piante monocellulari possono ottenere energia dalla cellulosa dei vegetali vicini.

L’alga secerne gli  enzimi (i cosiddetti enzimi di cellulosa), che digeriscono  la cellulosa, rompendola in componenti più piccoli. Questi vengono poi trasportati nelle celle e si trasformano in una fonte di energia, così l’alga può continuare a crescere.
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Prosegui su: http://gaianews.it/green-economy/ la lettura dell'articolo.




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