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martedì 22 maggio 2012

Olio di cartamo, l’olio estratto ha la più alta percentuale di acidi grassi, circa il 90 per cento. L’agricoltura australiana si prepara a coltivarlo in grosse quantità










Gli agricoltori australiani si preparano a coltivare un nuovo tipo di cartamo, risultato dalla ricerca genetica sui semi. L’olio estratto da questo nuovo tipo di cartamo ha la più alta percentuale di acidi grassi, circa il 90 per cento, presente nelle piante.
La nuova pianta fornirà ai coltivatori di cereali australiani una opportunità unica di produrre e fornire olii vegetali sostenibili e rinnovabili che sostituiranno il petrolio nelle materie prime nella produzione di prodotti industriali.
La futura domanda mondiale di olio potrebbe richiedere più di 100.000 ettari di questo "super-olio" di cartamo, un mercato paragonabile a quello dell’industria del cotone in Australia.
ll cartamo è una pianta erbacea simile allo zenzero, con semi che contengono dal 30 al 55% di olio, di composizione accidica variabile a seconda delle varietà considerate.
L’olio di cartamo viene estratto dai semi dell’omonima pianta (Carthamus Tinctorius) e destinato soprattutto all’industria alimentare, a quella energetica (biodisel) ed alla produzione di vernici e resine. Nel tempo, infatti, le sementi sono state selezionate per soddisfare i requisiti dei vari settori di utilizzo.
Il dottor Allan Green, Vice Capo del CSIRO Plant Industry, ha detto che l’olio di cartiamo innovativo combina un’elevata purezza per la produzione chimica industriale con una grande stabilità per l’uso diretto in lubrificanti e fluidi industriali, creando una versatile e preziosa materia prima industriale. “Gli oli vegetali contengono una serie di acidi grassi, sia monoinsaturi che polinsaturi”, ha detto il dottor Green.
“Per gli alimenti è importante usarlo in maniera equilibrata. Tuttavia, gli acidi grassi polinsaturi causano problemi nell’uso industriale, perché sono instabili e difficili da rimuovere durante la lavorazione dell’olio”, ha spiegato.
Il dottor Green ha quindi spiegato che il team di ricerca ha utilizzato la tecnologia genetica CSIRO per aumentare il livello di acido oleico nel seme, spegnendo la sua conversione in acidi grassi polinsaturi.
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venerdì 7 maggio 2010

Dal girasole, lubrificanti ad uso agricolo. In Umbria Novamont Spa, Coldiretti e il Parco Tecnologico 3A avviano la prima filiera agroindustriale

Promuovere lo sviluppo in Umbria di una filiera innovativa ed integrata a basso impatto per la coltivazione del girasole ad alto contenuto di oleico per la produzione di lubrificanti ad uso agricolo: è questo l’obiettivo del progetto che è stato accolto dalla Regione Umbria nell’ambito del Psr Umbria 2007-2013, Asse 1, Misura 124. Un bando estremamente innovativo che posiziona l’Umbria ai vertici della ricerca europea nel campo delle filiere agroindustriali per lo sviluppo di nuovi materiali e prodotti contenenti fonti rinnovabili.

L’aspetto più innovativo del progetto, che ha come capofila 3A Parco Tecnologico agroalimentare dell’Umbria ed è costituito da Novamont Spa, la Cooperativa Oro Verde afferente a Coldiretti e Sincro srl, è la stretta collaborazione tra mondo industriale ed agricolo per lo sviluppo del territorio a beneficio di tutte le parti coinvolte. L’integrazione quindi tra chimica sostenibile ed agricoltura moderna quale modello di sviluppo basato sul progresso territoriale e non sulla ricerca dei prezzi globali più vantaggiosi.

La scelta di utilizzare il girasole è da ricondursi al fatto che può essere coltivato sia in terreni pesanti che sabbiosi, il cui limite è rappresentato dalla disponibilità idrica. In Umbria gli ettari coltivati a girasole sono circa 40 mila con rese medie ad ettaro 24,5 q/ha ed una produzione totale 100 mila quintali. Questi dati rendono il girasole la coltura oleaginosa più importante per la regione, mentre le nuove varietà di girasole ad alto contenuto di oleico consentano maggiori rese e la convivenza di varietà tradizionali senza perdite di resa.

La produzione avverrà secondo standard a basso impatto ambientale e saranno condotte prove a basso impatto al fine di razionalizzare gli input (fertilizzazioni, rotazioni, uso di prodotti fitosanitari). L’obiettivo è supportare, attraverso analisi Lca del prodotto, l’agricoltore ad una gestione integrata della produzione, valorizzando sia la produzione agricola che il prodotto finale (lubrificanti), riducendone gli input.

Attualmente circa il 50% dei lubrificanti venduti e usati nel mondo sono dispersi nell'ambiente. Costituiti da un composto base di origine fossile (derivato dal petrolio) e da un pacchetto di additivi, sono una possibile minaccia per l’ambiente per l’alta percentuale di oli minerali (più del 95%), di tossicità e bassa biodegradabilità. I lubrificanti ed i liquidi idraulici a base di oli vegetali sono invece biodegradabili e presentano una bassa tossicità. Per lo sviluppo di lubrificanti a base vegetale in Umbria è prevista la realizzazione di un impianto prototipo ad hoc di distillazione.

Fonte: Novamont Spa

Link correlati:
- Coltivare il girasole
- Semi di girasole in mix
- I migliori libri sul giardinaggio

giovedì 11 marzo 2010

Benzina dalle alghe, allo studio microrganismi modificati in grado di produrre energia

Il motore a scoppio si sa funziona con qualsiasi sostanza che, una volta vaporizzata, sia in grado di generare una esplosione che dia la spinta per possa muovere un cilindro.

I propellenti al momento più utilizzati sono: la benzina, il diesel e il gas liquido, ma nessuno vieta di impiegare anche alcool prodotto dalla fermentazione di sostanze vegetali. In Brasile, per esempio, buona parte degli automezzi da tempo viaggiano ad alcool, prodotto dalla fermentazione di cereali e canna da zucchero con notevoli vantaggi sia per i fumi di scarico che sono meno inquinanti rispetto ai tradizionali idrocarburi, che contengono sostanze nocive per la salute.

Di conseguenza, la ricerca si sta orientando verso l’individuazione di piante in grado di essere utilizzate per la produzione di carburanti e che non comportino elevati rischi per la salute.
Tra le linee di studio attualmente nei laboratori spicca l’ingegneria genetica e in particolare  quelle basate sulla fermentazione alcolica provocata da microrganismi unicellulari.

Tali microrganismi, di diversa natura (batteri, funghi, anche alghe), agiscono con diversi meccanismi e producono diverse sostanze. Di molti di questi microrganismi si sta effettuando la mappatura del genoma: l’obiettivo è intervenire in modo da modificarli rendendo il processo più efficiente e, soprattutto, attuabile anche con materiali non costosi, facilmente reperibili e non utilizzabili per altri motivi. Per esempio, i residui delle lavorazioni industriali degli alimenti, piante spontanee infestanti, oppure piante specificatamente coltivate ma anch’esse modificate nel loro genoma per essere adatte allo scopo. Si pensa anche a colture di alghe microscopiche in vasche apposite.

Un'altro grande sogno degli scienziati è riprodurre artificialmente la fotosintesi clorofilliana dove le cellule verdi delle piante, sotto l’azione della luce, assorbono anidride carbonica e producono energia chimica e glucosio. Quando gli scienziati ne scopriranno il meccanismo e saranno riusciti a riprodurlo artificialmente ne avremo un gran numero di vantaggi, avremo una fonte energetica a basso costo e non inquinante.
 
Fonte: http://www3.lastampa.it/ambiente

venerdì 27 febbraio 2009

Lo sceicco proibisce i biocarburanti! 'Sono composti da alcool', non consoni all'Islam.


Secondo lo Sceicco Mohammed al-Najimi, i biocarburanti non sono consoni alla religione islamica. Dice infatti il religioso: 'sono essenzialmente composti da alcol '.
Ma ha anche precisato che il suo parere non deve essere considerato una fatwa o un pronunciamento giuridico dell’Islam, ma deve indurre i leader islamici a studiare il problema.
Al-Najimi ha detto che il divieto dell’uso dei biocarburanti dovrebbe essere esteso a tutti i Paesi islamici (tra cui l’Indonesia la cui popolazione è per 86% musulmana) e dovrebbe toccare anche quei musulmani che vivono e studiano all’estero e che potrebbero usare veicoli che vanno a biocarburanti o che usano miscele addizionate.
Infatti, ha specificato lo Sceicco allo Shams, giornale arabo, che il Profeta Maometto ha proibito tutto ciò che ha a che fare con l’alcol, inclusa la vendita, l’acquisto, il trasporto, il berlo, il servirlo e il produrlo.


Fonte: Ecoblog

venerdì 19 dicembre 2008

Biodiesel dagli scarti del caffe'


Secondo uno studio dell’Università del Nevada-Reno, pubblicato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry, dagli oltre 7 miliardi di tonnellate di caffè consumati ogni anno nel mondo, potrebbero venire prodotti circa 1,2 miliardi di litri di biodiesel. I resti del caffè risultano particolarmente adatti alla conversione in carburante poiché già contengono il 10/15% di olio a seconda della varietà (arabica o robusta).

Il biodiesel prodotto, inoltre, è molto stabile, a causa degli agenti anti-ossidanti contenuti nel caffè, mentre il residuo può essere utilizzato come compost per il terreno o pellet per stufe.
I ricercatori hanno asciugato i resti di caffè della Starbucks (già impiegati come compost negli USA), mischiandoli successivamente con dei solventi per estrarne l’olio contenuto dopo un passaggio in una centrifuga. I solventi vengono poi recuperati e riutilizzati nel ciclo successivo.
Il risultato finale è del biodiesel dal totale dell’olio estratto dal caffè.

Il settore del caffè in Italia alimenta un giro d’affari alla produzione che si aggira sui due miliardi di euro. I torrefattori in attività sono circa 750 e trasformano annualmente poco più di 6,8 milioni di sacchi di caffè verde (un sacco = 60 kg), tutto importato. Questo vuol dire che nel 2007 sono state importate circa 420 mila tonnellate di caffè; usare lo scarto per fare carburante e compost potrebbe essere una buona idea per accrescere l’indipendenza energetica.

Fonte: Ecoblog.it
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